La malattia crea in ciascuna persona smarrimento, paura, un senso di perdita e sradicamento delle certezze quotidiane. Il senso di smarrimento porta con sé la rabbia, il senso di colpa, la tristezza.

L’incertezza sul futuro può portare a stati ansiosi e depressivi e la necessità di un intervento chirurgico può generare paure relative alla minaccia dell’integrità corporea ed al timore dell’ignoto.

Quando i trattamenti non raggiungono gli obiettivi sperati, il paziente vive un crollo delle speranze, il senso di impotenza, la consapevolezza di non riuscire a vincere la malattia e la crescente paura della morte.

L’intervento psicologico è fondamentale per aiutare il paziente nella crisi aperta dalla malattia.  Il nucleo centrale e motore di tutto è l’ascolto, a volte unico supporto realmente necessario al paziente. Non di rado il malato non ha necessità materiali oggettive, ma prova ansie e timori che non riesce, non può, o non vuole, condividere neppure con i familiari, per non accrescere il loro dolore o perché teme di non essere capito. Lo psicologo, quale figura esterna neutra e preparata, rappresenta un punto di riferimento prezioso, capace non soltanto di accogliere e collocare nella giusta prospettiva angosce e preoccupazioni, ma anche di aiutare a elaborarle e renderle meno disturbanti.

Oltre a ciò lo psicologo, grazie all’identificazione delle sue risorse e dei suoi punti di forza, può aiutare il malato ad acquisire o potenziare abilità comportamentali e sociali per far fronte alle difficoltà pratiche derivanti dagli esiti della malattia e dei trattamenti, può fornire informazioni personalizzate, affinché il malato possa acquisire una migliore conoscenza delle procedure diagnostiche e terapeutiche o per orientarlo a modificare i propri stili di vita.

In altri casi, invece, l’aiuto psicologico diventa fondamentale per aiutare i familiari ad accettare la malattia del loro caro, a gestire un rapporto che potrebbe essere compromesso dallo stress associato alla malattia e a sostenerli nel lutto per la perdita del proprio congiunto quando la malattia non può essere sconfitta.